La Terra funziona come noi

Onorio Belussi intervista Pietro Zucchetti

Pietro Zucchetti ha ottenuto il diploma in Design e Progettazione di Permacultura Applicata presso l’Associazione Britannica, di cui è anche membro e dove ha studiato e praticato i principi permaculturali.

È inoltre il fondatore e coordinatore dell’Istituto Italiano Di Permacultura e collabora, oltre che con l’Associazione Britannica di Permacultura, anche col Permaculture Research Australia fondato da Bill Mollison.

Per capire meglio quali sono le differenze principali fra il metodo del “non fare” e il principio della permacultura e per collaborare con l’Istituto Italiano Di Permacultura nel cercare di unire le uguaglianze seminate nei cuori umani da Fukuoka, Mollison e Hazelip, ho intervistato Pietro Zucchetti.

Come hai scoperto la permacultura e perché la promuovi?

Ho scoperto la permacultura nel 1998 quando vivevo in Inghilterra (ho vissuto in Inghilterra per 14 anni), tramite un mio amico di nome Sergio. Lui stava facendo il corso di orticultura con la Royal Horticultural Society RHS presso i Kew Gardens di Londra e un giorno fece una lezione sulla permacultura dove gli diedero alcune riviste, il famoso Permaculture Magazine.

Stavo a casa sua quando tornò dal corso quel giorno fatidico e mi disse: «la permacultura sarà la salvezza per l’umanità.» I permaculturisti si fanno tutto da soli dagli scarti della società industriale e sono autosufficienti. Alché dopo questa pesante affermazione iniziai a indagare. Ecco come ho iniziato.

La promuovo perché credo nell’uomo e nelle sue capacità rigenerative. La promuovo perché voglio vivere una vita felice insieme ai miei cari.

Quali principi generali sostengono la permacultura?

La permacultura è basata su tre etiche che sono: cura della terra, cura delle persone e autoregolazione nei consumi. Poi abbiamo due gruppi di principi di design: un gruppo formulato da Bill Mollison prima del 2004 e un altro gruppo formulato da David Holmgren dopo il 2004 rivisitando e ampliando i principi di Mollison. Queste etiche e principi sono applicati all’interno del design di permacultura per risolvere i nostri problemi (come i nostri bisogni e voleri rispettando i nostri valori).

La permacultura è una scienza olistica, nel senso che prende in esame tutti gli aspetti di una determinata cosa. Noi che pratichiamo la permacultura tutti i giorni, possiamo essere paragonati a un medico generalista che però conosce a fondo il processo di cura (il design nel caso della permacultura) non conoscendo a fondo le singole malattie ma sapendone bene i processi a monte. In permacultura non dovrebbero esistere medicine perché si vive una vita sana e semplice che le previene.

Cosa unisce la permacultura del Mollison all’agricoltura sinergica della Hazelip e soprattutto alla coltivazione del “non fare” di Fukuoka?

Io tralascio la Hezelip perché è soltanto un’applicazione delle pratiche di Fukuoka alla produzione di annuali (dei quali noi, in permacultura, ne facciamo un uso marginale essendo basati su una cultura permanente come i perenni). Quindi la permacultura è un’evoluzione dell’agricoltura del “non fare”.

Fukuoka innovò facendo un uso intenso del processo di osservazione dell’ecosistema in cui lui coltivava per minimizzare l’errore; prima era tutto un prova e sbaglia. Così Fukuoka introdusse il concetto “osserva, prova e sbaglia meno.”

Mollison con la permacultura inserisce per la prima volta nella storia l’uso del design nella produzione alimentare. Il design secondo me è il simbolo del vero progresso umano, la vera Armageddon. E tramite il design l’errore viene eliminato quasi completamente.

Per esempio, se provo e sbaglio avrò un errore del 40%, se uso l’agricoltura del “non fare” avrò un errore del 20%, se faccio un buon design di permacultura avrò un margine di errore del 5-10%. Quindi avremo massimizzato l’uso della nostra energia.

Ed ecco una delle ragioni per cui il design di permacultura è sostenibile: risparmia energia e usa lo scarto per alimentare un sistema. Quindi, la permacultura progetta sistemi a ciclo chiuso, che è quello che faceva anche Masanobu Fukuoka.

La permacultura massimizza l’efficienza dell’agricoltura del “non fare” tramite il design. La permacultura è una scienza olistica di design, non è niente di spirituale o trascendentale, non è un partito politico ma soltanto gruppi di persone che vivono in armonia con la natura in modo autosufficiente, prendendosi le proprie responsabilità di fronte alla società umana.

Come interviene la permacultura per rinverdire i deserti?

La permacultura interviene nei modi più disparati, ma la cosa che accomuna tutti questi modi è la gestione dell’acqua.
In permacultura accelleriamo i processi biologici per rinverdire i deserti e lo facciamo aumentando i livelli di umidità relativa nel suolo. Nei casi più disperati inoculiamo microrganismi aerobici nel suolo, che produciamo nel composto e nel tè di composto, per esempio.

Ma usiamo anche le palline di Fukuoka o il metodo per coltivare il grano di Marc Bonfils, che deriva sempre da Fukuoka. Usiamo anche il design della linea chiave (keyline design di P.A. Yeomans), che oltretutto è il precursore della permacultura.

Secondo te la specie umana è nata per desertificare la materia del pianeta o per rinverdire l’energia della Terra?

L’essere umano defeca quindi produce suolo e di consequenza è fatto per fertilizzare e rigenerare come qualsiasi altro animale.

Qual è la differenza di base in Italia fra il tuo Istituto di Permacultura e l’Accademia di Permacultura?

L’I.I.P. che ho fondato è una scuola. L’Accademia Italiana di Permacultura associa molti progetti di permacultura in Italia ed è atta a coordinare la permacultura in Italia. Io non sono un associato dell’Accademia ma sono un indipendente.

Che risultati culturali-colturali hai ottenuto finora con la permacultura?

Ho piantato diversi giardini foresta in Inghilterra e in Italia, sto producendo uva da tavola a 738 metri di altitudine sulle Alpi del mare, ho un orto in mezzo a un pescheto e coltivo lamponi sugli hugelkultur bed.

Dove ricevi maggiore soddisfazione dal tuo particolare modo di formare gruppi ai tuoi corsi?

Nel vedere i miei studenti diventare istruttori e vederli iniziare progetti che li rendono felici. Un giorno un mio ex-studente e ora anche amico mi disse: «Pietro! lo sai che salvi le persone?»