Onorio Belussi intervista Giuseppe Moretti
Premessa
Il giapponese Masanobu Fukuoka è la guida che più mi ha aiutato a ritornare contadino e a riavvicinarmi alla natura, perché di tutte le persone più o meno conosciute, mi ha insegnato meglio a coltivare e a conoscere cos’è e come funziona il mondo naturale perfetto e unito nell’insieme.
Il bioregionalismo è la corrente occidentale più profondamente ecologica, verso la quale mi sento più attratto e seguo maggiormente, sia leggendo sue pubblicazioni, sia mandando articoli da pubblicare.
Anche se pratico e diffondo maggiormente i principi naturali del “non fare”, da quando ho conosciuto il bioregionalismo ho sempre praticato e diffuso, anche se nella forma minore, la visione bioregionalista.
Come adulto curioso, a volte mi sono chiesto se la visione bioregionalista fosse uguale al principio del “non fare”, visto e valutato che ambedue sento come guide, oppure se hanno punti di vista ecologici e basi ambientali differenti.
Per rispondere alla domanda e anche per cercare di capire meglio se quanto ho scoperto ha una direzione simile al bioregionalismo, ho intervistato Giuseppe Moretti.
- Pioniere fondatore della Rete Bioregionale Italiana
- Membro del Cerchio degli Anziani di Sentiero Bioregionale
- Editore del notiziario bioregionale Lato Selvatico
- Scrittore di libri e articoli
- Coltivatore biologico
Giuseppe, se l’insieme delle bioregioni sono più di una bioregione e noi viviamo con una dipendenza-autonomia reciproca col mondo naturale, facendoci aiutare dalla scienza specialistica per sapere dove siamo, non separiamo ancora di più l’unità della natura?
L’insieme delle bioregioni è la Terra, infatti la Terra è organizzata in bioregioni, regioni naturali che possono essere definite per continuità di vegetazione.
Ad esempio, se ci fai caso, viaggiando verso sud dalla pianura padana noti, guardando la vegetazione spontanea lungo le siepi, fossati, ripe dei corsi d’acqua, ecc: pioppi, aceri, olmi e querce farnie... Quando arrivi agli Appennini trovi carpini, ornielli, roverelle... Più giù in Toscana e Umbria le ginestre ti dicono che sei entrato in un clima più mediterraneo e quindi le querce ad esempio diventano cerri e lecci... e così via.
Di clima basta pensare al Lago di Garda con il suo microclima particolare che fa crescere ulivi e altre piante mediterranee nel nord Italia. Oppure agli animali: da noi non trovi l’istrice, perlopiù diffuso al centro/sud, il camoscio e il muflone invece si trovano in alta montagna, ecc. O all’acqua: qui è più facile, basta seguire i contorni dei crinali che delimitano i vari bacini idrografici.
Ma anche la presenza di particolari culture umane può essere metro per la definizione di una bioregione. Gli antropologi, ad esempio, hanno notato come spesso i popoli nativi/indigeni fossero legati a un territorio (valle, versante montano, ecc) ben specifico. Questo vale anche per i popoli nomadi, nel senso che nella maggior parte dei casi il loro girovagare rimane all’interno di un territorio ben delineato. Da noi tuttora potremmo citare come esempio di popoli con una forte identità con il territorio i popoli ladini, gli occitani, ecc...
La descrizione che ti ho appena fatto penso sia alla portata di tutti, è davanti ai nostri occhi, tu stesso lo puoi costatare imparando a conoscere le piante, gli animali, il moto delle acque, le variazioni del clima, i tratti culturali della gente e altro.
Perché il bioregionalismo studia soltanto le aree della flora e fauna del luogo in rapporto con la bioregione e non invece anche su cos’è l’ambiente per il pianeta terrestre e soprattutto su come funziona la Terra?
Perché prima di tutto noi viviamo in una bioregione, ed è lì che dobbiamo misurarci con i meccanismi della Terra e sull’impatto che le nostre pratiche hanno su di essa. Le bioregioni sono il microcosmo del più ampio macrocosmo che è la Terra.
Quando sai com’è il funzionamento dell’acqua, delle correnti del vento, la composizione dei suoli, la successione arborea, il comportamento degli animali... in un posto, sei già a un buon punto per comprendere senza troppa fatica come funziona la Terra. Come in tutte le cose, bisogna prima apprendere le basi e apprenderle direttamente nel luogo dove si vive è di gran lunga il modo migliore, penso.
Se l’obiettivo bioregionale è quello di riportare l’uomo/la donna dentro il mondo naturale con la pratica dello scambio e sul senso del limite, credere o diffondere che la natura non è né bella né brutta, né buona né cattiva non è ancora un atto di superbia umana o comunque una visione umanocentrica?
La natura semplicemente “è”, per completare la tua citazione.
Se ci asteniamo nel definire la natura è proprio perché non ci consideriamo al di sopra di essa. La accettiamo per quello che è.
Tacere su mentalità religiose e comportamenti metafisici è un modo diverso per esprimere che l’uomo e la donna non sono la misura per dominare il mondo naturale, oppure ha un significato diverso e/o più profondo?
I sentimenti religiosi o metafisici sono parte della natura umana e appartengono alla sfera del privato, ogni persona/cultura li esprime a modo suo, ed è pure un loro diritto.
In termini bioregionali non fa nessuna differenza se sei cristiano, pagano, musulmano, buddista o ateo, quello che conta è il modo in cui ti poni verso la più ampia comunità del luogo dove vivi (chiaramente il termine “comunità” in senso bioregionale include tutti: umani e non umani).
Quindi non è una questione di tacere o meno, ma piuttosto un rispetto verso le diversità sociali e culturali.
Se la visione bioregionale vede il mondo naturale unito, allora perché non si riconosce o non si dichiara la natura come un corpo e se invece si è d’accordo, allora come mai non viene riconosciuto Dio, oppure usando un altro nome, come la sua mente?
Perché a un certo punto è bene che il mistero rimanga un mistero, il bioregionalismo non è un movimento teologico ma pratico (ma pure permeato da una profonda spiritualità, sia ben chiaro). Affronta uno dei problemi che più hanno danneggiato noi stessi e il mondo che ci circonda: l’arroganza di sentirci signori e padroni del pianeta.
Il bioregionalismo è una cultura ecologica, economica e sociale nata come risposta alla globalizzazione e alla perdita delle proprie radici e identità; tornare alla fonte indicata da Fukuoka per vivere una vita semplice e primitiva è la direzione giusta oppure serve ancora qualcosa?
Quella di Fukuoka è certamente una, fra le tante, direzioni interessanti, di cui val la pena investigare le modalità e i principi di attuazione. Poi è chiaro che, dal momento che ogni luogo è diverso dall’altro, le pratiche possono variare. Per chi vive in una città, per forza di cose, il grado di vita semplice sarà diverso da chi abita invece in campagna. Il principio di vita semplice, dignitosa e di qualità (nel senso di assenza dell’effimero) comunque è valido in tutti gli ambiti.
Il ritornare a casa bioregionalista per stare bene con sé stessi, con gli altri esseri viventi e con la bioregione è diverso oppure è uguale al ritornare alla campagna, per coltivare senza dare alcun valore alle cose né senso alla vita in quanto alla fine tutto ritorna dove siamo venuti?
Essere bioregionalisti oggi significa dare un senso concreto alla propria vita (specialmente oggigiorno che tale senso ci viene sempre più tolto o alla meglio banalizzato). Qui e ora, artefici del nostro personale cambiamento, per una vita il più possibile consapevole e connessa agli elementi e lineamenti naturali della Terra.
La pratica del riabitare va praticata sia in campagna come pure in città.
Certo, tutto ritorna alla terra, ma intanto che ci siamo penso sia estremamente importante dare valore e senso alla vita (in tutte le sue forme) e alle cose; in fondo è proprio dalla cultura consumista ed egoista che proviene questa idea nefasta del togliere valore alle cose per poterne poi, chiaramente, disporre e sfruttare a piacimento.